Ho sempre ammirato in Piero Risari il
modo con cui progettava le sue opere di
arte visiva. L’idea artistica era
sostenuta sa una struttura molto
rigorosa, nella quale l’estro estetico
si muoveva con estrema libertà.
Piero si preparava gli elementi
costitutivi delle sue pitture (facendo
un paragone con la musica sarebbe come
se un musicista preparasse la tastiera
del suo pianoforte secondo il pezzo
musicale che vuole suonare). Piero
preparava delle “tastiere” cromatiche,
di varia intensità, una per ogni colore
che pensava di usare: dal colore più
intenso fino al colore più chiaro, quasi
bianco. Strisce di tela che poi
appendeva al muro per verifica ottica.
Poi preparava i colori nei vasetti, ogni
vasetto un grado di intensità cromatica,
tutti in fila dal più chiaro al più
intenso. Ogni colore una fila di
vasetti. Intanto sulla tela aveva
tracciato una struttura triangolare, a
matita, fino a riempire tutto lo spazio
e in stretto rapporto con la dimensione
della tela.
E qui interveniva la fantasia, la
creatività estetica, che consisteva nel
disporre le varie intensità di due o tre
colori base, sulla superficie, un tono
per ogni triangolo, fino a coprire tutta
la superficie, ma non in modo logico
pedestre, no, con senso estetico
basandosi sulla sensibilità del momento.
L’insieme di questo estremo rigore della
struttura, nella quale il colore si
muoveva a caso (sembra), permette
all’osservatore di percepire una miriade
di forme secondo le possibilità
combinatorie dei vari toni di colore.
Ecco un caso di partecipazione attiva
dell’osservatore nella componente
creativa dell’opera.
Questo è il messaggio che Piero ci ha
lasciato, questo è quanto comunicano i
suoi quadri, i suoi ultimi specialmente,
questa fusione tra il caso indecifrabile
e la regola più rigorosa e fredda. La
logica e il caso, la regola e
l’imprevisto, l’arte e la tecnica.
Piero è ancora qui con noi a
comunicarci, attraverso le sue opere, il
suo messaggio di creatività estetica.
Questo fa parte della continuità del
pensiero.
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